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17 Nov
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Intervista all'autore - Nicolò Alessi

1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Vengo da Fabrica di Roma, un piccolo paese in provincia di Viterbo ad un'oretta scarsa dalla capitale. Il mio paese, come tutti quello che lo circondano, mescola una realtà contadina ancora presente ad un'altra industriale e di produzione ceramica. Non posso definirmi uno scrittore, per il momento almeno, per il semplice motivo che non l'hanno fatto gente come London, Bukowski o Fante agli inizi delle loro vite. E bisogna portare rispetto a gente simile. Posso ricordare però quando ho cominciato a sentire il bisogno di mettere su carta certe sensazioni, o delle cose che tutti vedevano ma io percepivo in maniera differente, non necessariamente migliore, intendiamoci.
Ho scritto la prima poesia, per cosi dire, quando avevo dieci anni circa. Parlava del maiale di famiglia che accudivo da mesi e che è sparito da un giorno all'altro, lasciando al centro del tavolo domenicale vassoi di salsicce fumanti. Da quel momento in poi ho sentito la voglia di guardare la vita normale sotto punti di vista diversi, cercandoli con costanza e provando a raccontarli. Con una poesia o con un racconto.
 
2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Dipende. Quando si tratta di poesie spesso sono loro a venire da me, in quel caso mollo tutto e prendo appunti o limo parole già scritte in precedenza. Magari passo una giornata intera o anche più a perfezionare il suono e l'incastro di certe parole, affinché esprimano quello che voglio. Il tutto mentre conduco la mia vita normale, tra il lavoro, l'ozio e il bar. Quando invece sono preso da un racconto o roba simile corro a casa, subito dopo il lavoro, stappo una birra e mi siedo davanti al pc. Ci vuole disciplina per tutto se decidi di fare sul serio e l'arte non fa assolutamente eccezione.
 
3. Il suo autore contemporaneo preferito?
Confesso che sono ancora perso nel passato, la letteratura degli inizi del ‘900 è quella che più mi prende. Ma tra gli autori contemporanei, su tutti amo Chuck Palahniuk e il nostrano Niccolò Ammaniti, i cosi detti "cannibali". Poi John Niven, con tutta la cultura del rock di cui è enorme conoscitore o Joel Dicker con quel capolavoro, a parer mio, de "La verità sul caso Henry Quebert". Per il resto, quando trovo raccolte di racconti di autori emergenti misti, non posso esimermi dall'acquistarle.
 
4. Perché è nata la sua opera?
Per un semplice motivo, perché ho scritto e scrivo. Sperando ovviamente che sia la prima di tante.
 
5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Molto. Sono quel tipo di persona che prima si guarda intorno e poi scrive.
 
6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Ambedue le cose. Io scrivo per capire la realtà, mi discosto un attimo dal contesto. Significa cercare in solitudine un punto di vista nuovo per guardare le cose di tutti i giorni. Ti rendi conto di aver fatto centro nel momento in cui le persone che leggono condividono i tuoi stessi tormenti o ragionamenti a riguardo, ma sempre a modo loro. Le mie parole filtrate dalla loro persona, perché che la realtà stessa è ambedue le cose, oggettiva e soggettiva.
 
7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Tanto. Amo metterci la faccia e nascondermi il meno possibile. Mi dà un senso di liberazione.
 
8. C’è qualcuno che si è rilevato fondamentale per la stesura della sua opera?
A parte me? Scherzo, ma non troppo. Ci sono tante persone che mi hanno spronato in tutti i momenti insicuri che ho attraversato nelle varie fasi della mia vita. I miei genitori e le mie sorelle sono sicuramente il fan club ufficiale e più affiatato. Poi ci sono state donne e fidanzate che leggevano commosse dicendomi di non smettere mai, neanche avrei potuto del resto. Scrivere fa parte di me, quanto i morsi della fame quando si avvicina l'ora di pranzo. Un ruolo fondamentale, in questi ultimi due anni, l'ha avuto una mia amica e collega di penna. Che è venuta spesso, nell'angolo dove ero seduto insieme alle mie nevrosi e ai dubbi, a rimettermi in piedi e a dirmi: "Sei tu e questa è la tua marcia in più". La cosa che preferisco dell'umanità è proprio questa, che nessuno ce la fa da solo, nonostante tutti affermiamo convinti il contrario.
 
9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Non è un romanzo, è una raccolta di poesie o "delle parole che scrivo", come spesso le definisco io. Non sapendo di preciso in quale contesto collocarle. Essendo una raccolta in procinto di pubblicazione non l'ha ancora letta nessuno.
 
10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Non lo so. Sicuramente pratico e con il vestito giusto per i tempi che stiamo vivendo. Preferisco la carta e magari un giorno il buon senso della società si sveglierà di nuovo, tornando a produrla dalla canapa e non dalle deforestazioni. Più che il futuro della scrittura, l'ebook, può aspirare a diventare il futuro della lettura. Per quanto riguarda la scrittura, tra computer e memo del telefono alla fine mi ritrovo sempre con una penna in mano.
 
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Molti lo considerano un libro per oziosi. Non sono dello stesso parere, sono coinvolgenti e creano un'atmosfera bella in maniera diversa dalla canonica lettura individuale. Ma come quasi tutto credo che ci sarà sempre bisogno di avere tutte e due le cose. Una bella voce narrante in cuffia e la beata solitudine con le dita sulle pagine a lume di abat jour.

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Sabato, 17 Novembre 2018 | di @BookSprint Edizioni