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23 Ott
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Intervista all'autore - Alessandra Pompili

1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Provengo da un paese di provincia, dove la vita non offriva; dove per emergere a qualunque livello, dovevi fare a gomitate, e io, sono stata sempre remissiva, forse, più facilitata a fermare un pensiero su carta piuttosto che impormi. Sono una persona piuttosto loquace e mi piace colorire quel che racconto. Già da bambina scrivevo. Ho sempre scritto e fermato i miei pensieri nero su bianco. Non c'è una decisione di diventare "scrittrice". Piuttosto l'esigenza di tirare fuori sensazioni ed emozioni, negative o positive che siano; e quando questo scrivere diventa comprensibile, chiaro, perché sentito, crea la voglia di condividerlo, la presunzione, in qualche modo, di poter, con il proprio vissuto, trasmettere emozione e indurre il lettore ad una propria riflessione.
 
2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Non c'è un momento specifico. Scrivo quando sono rilassata, quando ho l'estro, quando qualcosa nell'arco della giornata mi ha dato un pensiero che voglio fermare.
 
3. Il suo autore contemporaneo preferito?
Non ho un autore preferito. Spazio da De Crescenzo, a Wilbur Smith, a Paolo Coelho, diciamo che vengo catturata dal titolo del libro, ne leggo la trama e se mi incuriosisce, lo leggo.
Non disdegno libri di saggistica, anzi. Inducono a riflessione e introspezione.
 
4. Perché è nata la sua opera?
 È nata nella fase terminale della vita di mia madre, quando i pensieri si affollano nella mente e ti chiedi perché accadono alcune cose. Pensi a cosa sarebbe potuto accadere se invece di fare una scelta, se ne fosse fatta un'altra. Da qui la necessità di leggermi dentro e vedere scritti i miei pensieri più nascosti. È come se vederli nero su bianco, li sentissi più reali. E scrivo, e scrivo, fino a creare qualcosa che può essere definito "opera".
 
5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Non ha influito la mia formazione letteraria, sono stata una alunna poco attenta, non ho mai portato a casa più di un "sei" nei temi, ai tempi della scuola. La vita che uno vive, la vita che ho vissuto mi hanno formato e forgiato, e in fondo quando scrivo, anche se scrivo cose non propriamente autobiografiche, sono in qualche modo io.
 
6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Entrambe le cose. Si scrive la realtà, avendo l'opportunità di modificarla. L'evasione c'è nel momento in cui si "riscrive" la propria realtà.
 
7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
In questo romanzo c'è molto di me. É quello che ho vissuto. C'è la mia vita. Ci sono i miei pensieri.
 
8. C’è qualcuno che si è rilevato fondamentale per la stesura della sua opera?
A sua insaputa, sì. Mia zia, discorrendo, mi raccontò degli aneddoti che io ignoravo e mi hanno indotto a riflettere. Per il resto, in parte è costruito su miei ricordi, e in parte sono deduzioni offerte dai miei ricordi, non ultimo le mie sensazioni più profonde.
 
9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Alle mie sorelle.
 
10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Temo di sì, per mera comodità. Il libro è di carta. Secondo me nulla potrà mai sostituire il piacere di sfogliare un libro, un libro vero. Un ebook, non è un libro, è un racconto che si può leggere su uno schermo.
 
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Trovo sia indispensabile in casi di patologia, per gli ipovedenti. Per chi invece pensa di usufruirne per mancanza di tempo, trovo sia spoetizzante. Ad esempio, guidare e ascoltare un libro? Assolutamente no. Non si presta la dovuta attenzione, né al libro né alla guida. Si perdono le sfumature. L'audiolibro dovrebbe essere ascoltato distesi comodi su un divano, ma anche in quel caso la mente spazia e si distrae facilmente, pertanto lo ritengo valido solo in caso effettiva necessità.


 

 

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Martedì, 23 Ottobre 2018 | di @BookSprint Edizioni