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20 Apr
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Intervista all'autore - Robert Donovan Carro

1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?

Mia madre, nata a Casablanca e tuttora vivente (91 anni, età veneranda e che Dio la conservi ancora!), mi diede alla luce nei primi anni del dopoguerra. In quel periodo i miei genitori, provenienti da un soggiorno in Sicilia durato alcuni anni, si erano stabiliti a Napoli. Pochi anni dopo la mia nascita lasciarono il napoletano e si trasferirono nel Gargano, in Puglia, dove sono cresciuto, ho studiato, mi sono sposato, ho avuto due figli, Rossella e Maurizio, e mi sono separato da mia moglie. Non tutte le “love story” hanno un lieto fine! In Puglia, soprattutto nel territorio garganico, ho affondato le mie radici e amo questa terra in modo particolare. Svolgo un lavoro meraviglioso che ricompensa l'impegno e il tempo che richiede con molte, tantissime soddisfazioni. Sono un Istitutore e svolgo la mia attività in un convitto annesso all'Istituto Alberghiero di Vieste (Gargano). Forse non tutti sanno chi è e cosa fa un Istitutore.

L'Istitutore lo si potrebbe definire l'insegnante del doposcuola. A quegli studenti che non risiedono sul posto, che abitano lontano, a volte a distanza di centinaia di chilometri e non avrebbero, quindi, la possibilità di frequentare l'Istituto Alberghiero di Vieste, uno dei più qualificati anche per le attrezzature di cui dispone, il Convitto offre alloggio in una camera, vitto, nonché l'assistenza degli Istitutori allo studio. In pratica l'Istitutore è un Educatore e accompagna lo studente in tutte le attività giornaliere che vengono svolte nel convitto. Non solo. L'istitutore è anche il genitore, l'amico, il confidente dello studente, pronto ad aiutarlo per qualsiasi problema possa assillarlo e, a quella età, i ragazzi di problemi ne hanno e se ne creano tanti. L'istitutore, a differenza dei professori, non ha l'arma del voto e tutto dipende dal suo modo di porsi nei confronti dei ragazzi. Per raccogliere le soddisfazioni cui accennavo prima, deve saperli ascoltare, deve saper suscitare in loro simpatia, soprattutto fiducia. E' una sensazione incredibilmente entusiasmante e appagante accorgersi di essere benvoluti dai giovani, che con fiducia ti cercano, ti confidano le loro preoccupazioni e si aspettano dal loro Istitutore l'aiuto sperato. Ovviamente non tutti gli Istitutori sono uguali: il carattere differenzia le persone! E guai se non fosse così! Non credo ci sia stato un momento ben definito che mi abbia fatto decidere di diventare scrittore. Scrivere è una passione che va coltivata nel tempo ed io la coltivo sin dai tempi del liceo, quando durante le prove scritte di Italiano, nelle quattro ore che ci venivano messe a disposizione, oltre al mio elaborato riuscivo a svolgere anche quello per due mie care amiche di classe, che non rivedo ormai da tanti anni. Ho iniziato a scrivere racconti solo per hobby e mi sentivo soddisfatto quando ne completavo qualcuno. In tutta sincerità non ho mai pensato di fare lo scrittore, scrivevo perché mi piaceva farlo e questo mi bastava. E' stata la ristretta cerchia di amici e colleghi, ai quali sottoponevo in visione i miei racconti, a spingermi a farli pubblicare perché li trovavano accattivanti. Ed eccomi qua col mio primo libro pubblicato!



2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?

Il lavoro mi porta via parecchio tempo. Alle ore effettive di servizio si aggiunge il tempo necessario per raggiungere il convitto dell'Istituto Alberghiero di Vieste e quello per rientrare, dopo il lavoro, a Vico del Gargano, dove vivo da alcuni anni. Ciò comporta una stanchezza fisica e mentale che non mi permette di sedermi al computer per scrivere. I giorni che posso dedicare a questa passione si riducono, così, al sabato e alla domenica. Nell'arco della giornata non ho dei momenti ben precisi da dedicare alla scrittura. Quando ho la voglia di scrivere, quello è il momento giusto, anche se, devo ammetterlo, una certa preferenza per le prime ore del mattino c'è. A volte mi capita di non avere sonno e di trascorrere buona parte della notte a scrivere.



3. Il suo autore contemporaneo preferito?

Sicuramente più di uno, ma la preferenza va a quelli italiani e al genere thrilling. Perciò Salvatore Paci.



4. Perché è nata la sua opera?

Facciamo riferimento a Story of Hann, la mia prima pubblicazione con la casa editrice Book Sprint Edizioni. Questo racconto, pur non parlando della guerra, ne sottolinea gli orrori, che distruggono i sentimenti, dilaniano i corpi e straziano di dolore i cuori di quelle persone che hanno visto morire i propri cari. In Story of Hann, gli orrori della seconda guerra mondiale, a distanza di decenni dalla fine del conflitto, provocano ancora dolore, un dolore che non si placa, non può placarsi se non con la morte.



5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?

Gli Hippy, la Beat Generation, i Beatniks, i figli dei fiori, la contestazione del sessantotto, gli anarchici Sacco e Vanzetti, sono stati fenomeni che hanno avuto risonanza nel mondo e hanno caratterizzato gli anni della mia fanciullezza, ma proprio perché ero troppo giovane, ancora sotto la tutela e il controllo dei mei genitori, mi hanno solo sfiorato, senza avere una presa sulla mia formazione culturale ed educativa. L'influenza di questi fenomeni l'ho potuta avvertire maggiormente nel campo della musica, grazie alla radio e alla televisione che entravano nelle case e raggiungevano anche i più piccoli. Il movimento Beat fu il generatore di una serie di complessi musicali, tuttora in auge, quali L'Equipe 84, I Dick Dick, I Camaleonti, I Corvi e di cantanti solisti come Gian Pieretti, Caterina Caselli e l'intramontabile Patty Pravo, la ragazza del Piper, come anche di locali dove la musica era espressamente a carattere beat, tipo il Piper di Roma, che forse fu il primo e il più noto. I fenomeni di quegli anni, quindi, ebbero su di me più presa nel campo della musica che in quello culturale. La mia formazione educativa, e successivamente quella letteraria, è stata influenzata soprattutto dal contesto sociale familiare e dagli studi a carattere scientifico. Mio padre era un docente di lettere, di quelli di vecchio stampo, e in casa nostra bisognava rispettare determinate regole, quali l'applicazione seria agli studi, il divieto di esprimersi in dialetto, pur apprezzandone l'innegabile aspetto folkloristico, l'applicazione alla lettura, una selezione accurata delle amicizie da frequentare, il rigetto attraverso la discussione di determinati fenomeni dell'epoca che sfociavano, tra le tante altre cose, nell'uso o meglio nell'abuso di sostanze stupefacenti.



6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?

Può essere entrambe le cose. Story of Hann è uno dei miei racconti che ho raccolto nella serie “incubo” perché solo in un terribile sogno può verificarsi ciò che accade nel racconto. Una storia, quindi, al di fuori della realtà e nello stesso tempo saldamente ancorata a una terribile realtà: quella della guerra.



7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?

In Story of Hann non c'è nulla di personale o che riguardi la mia vita, tranne l'orrore che provo per tutto ciò che è disumano, come lo è una guerra.



8. C’è qualcuno che si è rilevato fondamentale per la stesura della sua opera?

Due estati fa, in un pomeriggio assolato di agosto, decisi di fare un giro in macchina e mi spinsi fino a Peschici, un paesino turistico del Gargano, con l'intenzione di visitarne il centro storico alla ricerca di luoghi, vecchie case e persone che potessero ispirarmi per un mio nuovo racconto. Alla fine della mia escursione nel centro storico del paese, piuttosto breve perché stavo soffrendo molto il caldo, non avevo trovato niente che avesse stuzzicato il mio interesse, nessun elemento che potesse invogliarmi a scrivere un nuovo racconto. Accaldato, mi sedetti al fresco, a un tavolino di un bar e ordinai una orzata per alleviare la mia sete. Qualche minuto dopo, due anziane signore ebbero la mia stessa idea e occuparono il tavolino adiacente a quello dove ero seduto. Come spesso accade, un accenno di saluto, un sorriso, qualche osservazione sul caldo di quella afosa giornata e ci ritrovammo a chiacchierare piacevolmente, mentre gustavamo le nostre fresche bevande. Per non portarla alla lunga, nella mezzora, o poco più, che restai seduto al bar, le due signore mi raccontarono una storia che mi colpì. La loro storia. Le due donne erano straniere, di Varsavia, e da alcuni anni venivano a trascorrere la loro villeggiatura nel Gargano, che trovavano una terra accogliente e piena di bellezze naturali. Erano sorelle gemelle, di origine ebraica, e la persecuzione nazista aveva crudelmente tolto loro i genitori e le aveva separate alla tenera età di due anni. Avevano vissuto separate, ignorando l'esistenza una dell'altra fino a un decennio prima. Si erano ritrovate per una strana coincidenza e da allora non si erano mai più separate. Da qui nasce Story of Hann che della storia delle due anziane signore ha conservato gli elementi essenziali: le gemelle, l'esecuzione dei loro genitori, la separazione in tenera età. Tutto il resto è creazione, che di questa scioccante storia ne ha fatto un racconto. All'epoca ero impegnato a scrivere un altro racconto e Story of Hann ha dovuto aspettare più di un anno prima di essere scritto.



9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?

La prima stesura del romanzo è rimasta, insieme ad altri miei racconti, in un cassetto. Solo a distanza di un bel po' di tempo l'ho sottoposta al giudizio di una delle mie sorelle. Avuto parere favorevole, ho ritenuto necessario avere altre conferme e ho dato in visione il racconto ad alcuni amici e a qualche collega. I pareri sono stati favorevoli e per alcuni versi concordanti: il racconto risultava piacevole alla lettura e la storia narrata coinvolgente. L'ultima conferma, ovviamente quella alla quale tenevo di più, l'ho avuta dal correttore di bozze della casa editrice Book Sprint Edizioni: la signora Gerarda.



10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’e-book?

Vorrei che non fosse così, ma è ciò che probabilmente accadrà. Sarò un sentimentale, ma non potrei mai rinunciare al piacere di avere un libro cartaceo fra le mani, sfogliarlo apprezzandone il tipo di carta, i caratteri usati per la stampa e l'impaginatura, tutte sensazioni, queste, che stimolano l'interesse alla lettura.



11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?

Si sta pubblicizzando molto sia la comodità dell'uso che gli innumerevoli vantaggi, più o meno discutibili, dell'audiolibro. E' mia convinzione che gli italiani dovrebbero leggere di più. Non di rado accade che i lettori più giovani, ma anche le persone di una certa età, che facilmente si stancano, di fronte all'elevato numero di pagine di un libro finiscono col rinunciare ad affrontarne la lettura. In questi casi e per quelle persone che hanno problemi di vista o sono non vedenti, l'audiolibro è sicuramente un'ottima soluzione. Una sola preoccupazione: i più giovani, con ancora scarse conoscenze grammaticali, potrebbero incontrare delle difficoltà a imparare a scrivere correttamente e a usare la punteggiatura secondo le regole della grammatica. Se l'audiolibro dovesse diventare metodo alternativo alla lettura, consiglierei ai docenti di Italiano di far svolgere ai propri discepoli uno studio approfondito dell'uso della punteggiatura. Da ragazzino sono stato un divoratore di libri, naturalmente i classici della mia epoca: Zanna bianca, Moby Dick, Ventimila leghe sotto i mari, Dalla terra alla luna, i libri di Salgari e tanti altri. Leggendo ho imparato a scrivere ed è ciò che consiglio: leggere, leggere, leggere!

 

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Lunedì, 20 Aprile 2015 | di @BookSprint Edizioni